Il Calice di Dio” del Prof. Luigi Battistini


 “Il Calice di Dio” (di prossima pubblicazione) del Prof. Luigi Battistini

Cos’è il Graal?

Per  noi esistono tre tipi di Graal:

1)      Il Graal celtico o pagano

Nel  Preiddu Anwnn, un poema gaelico  attribuito al bardo Taliesin o Telesin, ci sono dei versi che descrivono il "Calderone dell'Anwnn" o "Calderone di Dagda", portato nel mondo materiale dai Tuatha dè Danaan, rappresentanti ultraterreni del "Piccolo Popolo", e recuperato da Artù nel castello ("Caer") di Pedryvan, dopo essere sceso negli inferi. Il calderone era l'unico posto dove Dagda poteva riporre la sua lancia, che, se lasciata incustodita, poteva distruggere il mondo a causa del suo immenso potere.

Le caratteristiche del  Graal pagano, possono così riassumersi: esso è fonte di felicità terrena, abbondanza, ricchezza, benessere, guarigione, e soprattutto un contenitore  capace di dispensare  cibo in abbondanza.  La ricchezza che perviene da questo  Graal è tutta materiale, misurabile solo in termini egoistici ed umani. Esso, infatti è un oggetto magico che offre cibo in abbondanza, risana le ferite, rende fertile la terra. Trattando del Graal celtico o pagano, gli studiosi spesso fanno riferimento all’immagine del  Calderone di Gundestrup, un manufatto risalente probabilmente   al II sec. A. C. e trovato nel 1891. Gli ornamenti in esso contenuti sono quelli tipici della popolazione celtica degli  Scordisci, anche se figurano pure elementi decorativi presenti nei manufatti della popolazione germanica dei Cimbri.

                                             


                                 Calderone di Gundestrup

2)      Il Santo Graal

Esso corrisponde ad un oggetto-reliquia e più propriamente ad un calice in cui è stato raccolto il sangue preziosissimo di Cristo sgorgato dalle sue ferite, allorché fu crocifisso sul Calvario. Il  Santo Graal più probabile è il Calice Mariano. Secondo una leggenda  del IV sec. la Maddalena, fuggita dalla Terra Santa, avrebbe portato  il Santo Graal, (ove avrebbe raccolto alcune gocce di sangue di Gesù crocifisso) con sé a Marsiglia, dove tuttora sono venerate le sue presunte spoglie mortali. Nel 327 l’imperatrice Elena, madre di Costantino il Grande, proclamò che, a seguito degli scavi compiuti nel sito ove si riteneva fosse stato il Santo Sepolcro, era venuta alla luce una coppa ritenuta proprio quella utilizzata da Maria Maddalena per raccogliere sul Calvario il sangue di Cristo. Quando si fa riferimento al Santo Graal, il  Calice  viene collegato alla raccolta del sangue di Gesù e non alla trasformazione del vino nel sangue del Signore, avvenuta nell’Ultima Cena. Non sappiamo però se il calice con cui Maria Maddalena o Giuseppe d’Arimatea  hanno raccolto il sangue del Signore sia lo stesso utilizzato da Gesù nell’Ultima Cena. Certo la convinzione che le due coppe fossero in realtà la medesima era presente nella tradizione. Robert de Boron nel suo romanzo ”Joseph d’Animathie” sostiene che, dopo la crocifissione Giuseppe d’Arimatea, recatosi da Pilato, assieme ad un ufficiale romano convertito, di nome Nicodemo,  richiese il corpo di Gesù. In quell’occasione  ottenne anche la consegna della coppa usata da Gesù nell’Ultima Cena, nella quale egli raccolse qualche goccia di sangue dal corpo del Signore. Nel V secolo lo storico greco Olimpiodoro di Tebe ci tramanda la notizia che, quando i Visigoti saccheggiarono Roma nel 410, la coppa fu portata in Britannia.

Questa coppa, della quale vengono date diverse descrizioni fisiche (grande coppa d’argento, piccolo recipiente di pietra, coppa incastonata in un recipiente d’oro ed arricchita di pietre preziosissime) fu denominata “Calice Mariano”, in onore di Maria Maddalena.

 

3)      Il Calice dell’Ultima Cena o Sacro Calice o Sacro Graal

-          Il primo riferimento storico del Sacro Calice è contenuto nei Vangeli e si ricollega alla Ultima Cena di Gesù. Trattasi del Calice nel quale si è verificato, ad opera di Gesù,  la prima transustanziazione del vino nel Suo vero ed autentico Sangue Preziosissimo. Essendo per noi il vero ed autentico Sacro Graal, o Sacro Calice, desideriamo onoralo e per questo lo  indichiamo col termine di Calice di Dio.

-          Secondo la tradizione, il Calice dell’Ultima Cena fu portato a Roma da S. Pietro. In seguito  fu inviato in Spagna (Huesca) da S. Lorenzo nel 261 d. C., durante la persecuzioni ordinate dall’imperatore Valeriano contro i cristiani. Per volontà di Papa Sisto Il, Lorenzo, che era nativo di Huesca, infatti lo inviò al riparo in un luogo solo a lui conosciuto e particolarmente sicuro. Nel 713 il Sacro Calice fu portato nel monastero di San Juan del la Pena, per ordine del vescovo Audiberto di Huesca, a motivo delle invasioni dei mori dell’Aragona. Nel 1134 era ancora conservato in quel monastero e racchiuso in un’arca d’avorio. Si ritiene che fosse traslato da quel monastero nel 1399 a Saragozza e poi, per volontà dei re di Aragona, a Valencia nel 1437;

-          Nel VI sec. Antonio da Piacenza affermava che la coppa dell’Ultima Cena, unitamente alla Santa Lancia, erano esposte nella Basilica del Santo Sepolcro e nella Chiesa di Sion;

-          Un’altra fonte, ritenuta una delle più antiche relative alla coppa dell'Ultima Cena, fa riferimento ad  un calice argenteo a due manici che era rinchiuso in un reliquiario di una cappella vicino a Gerusalemme tra la Basilica del Golgotha e il Martirio. Questo Graal è ricordato nel racconto di Arculfo, un vescovo anglo-sassone del VII secolo, che l'avrebbe visto ed anche toccato. Naufragato nell’isola di Iona (Ebridi Scozzesi) raccontò all’abate  Adamnan (l’autore della vita di San Colombano e fondatore del Monastero locale) tutto quello che aveva visto durante il suo pellegrinaggio, in particolare di aver toccato un calice argenteo a due manici, ritenuto il Sacro Calice. L’abate Adamnan scrisse dei racconti che furono divulgati da re Aldfridus sul finire del VII secolo; così da questi racconti apprendiamo che a Gerusalemme era presente il Calice dell’Ultima Cena[1]. Questa è la sola testimonianza che il calice fosse conservato in Terra Santa;

-          Secondo quanto riportato da Albrecht Von Scharfenburg nel suo romanzo “Il Secondo Titurel” il Graal era conservato nella cappella del gran palazzo di Costantinopoli, denominato Boucoleon. Durante la Quarta Crociata  sarebbe stato trafugato da questa cappella  e portato nel 1204  a Troyes (Francia) da Garnier de Trainel, decimo vescovo di Troyes;

-          Per C. Knigt e R. Lomas circolava una diceria secondo la quale i Templari avevano ritrovato il Sacro Graal sotto il Tempio di Erode e ne erano divenuti i guardiani segreti;

-          Stando a molte leggende,  i Catari possedevano il Graal, che  i "Perfetti" avrebbero lasciato  in custodia  ai Templari prima di essere arsi vivi sui roghi di Montségur. Gli studiosi sono convinti però che il Graal dei Catari abbia avuto un significato solo simbolico e debba perciò essere considerato piuttosto   una coppa di resurrezione a nuova vita spirituale e non già un manufatto, vale a dire un  recipiente materiale dove venne raccolto il sangue di Cristo o dove avvenne per al prima volta la transustanziazione. Nella dottrina Catara, infatti non poteva esserci  alcuna possibilità di venerazione verso una reliquia che aveva contenuto il sangue di Cristo  perché  la morte stessa del Cristo era considerata  una manifestazione satanica;

-          Si ricorda poi che Renato d'Angiò, anche noto con il nome di Renato I di Napoli, detto il Buono (Angers, 16 gennaio 1409 Aix-en-Provence, 10 luglio 1480) collezionava coppe ritenute il Graal.


-          Gesù stesso definisce il Sacro Graal

Il progetto di Dio sull’uomo è  stato guastato dall’uomo a causa del suo peccato. Ma Dio non ha fatto comunque mancare la sua promessa ed ha annunciato una Nuova Alleanza, nella quale egli stesso interviene, inviando fra gli uomini il suo unico Figlio, per scrivere la Nuova Legge. Al popolo infedele e ricaduto nella schiavitù del peccato, il profeta Geremia annuncia una nuova alleanza, che Dio scrive nel cuore stesso degli uomini. Nella Genesi è, infatti  riportato il seguente brano, preso dal libro del profeta Geremia (31, 31-34):

Ecco verranno giorni- dice il Signore- nei quali con la casa di  Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore:  Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri,  dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato”.

All’infedeltà ed alla irriconoscenza degli uomini Dio risponde con un gesto di amore e di carità, mandando il suo Figlio perché attui l’antica promessa. Matteo descrive questa nuova alleanza:

Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati”(Mt 26,27-28).

Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, fate questo ogni volta che ne berrete in memoria di me”(1 Cor  11, 23-25).

E’ Gesù stesso che identifica nel Sacro Calice la Nuova Alleanza con gli uomini, per dare loro un cuore nuovo, in virtù della grazia della riconciliazione da Egli stesso offerta e che  fa del Sacro Graal un simbolo della sua missione e della comunione universale. La Nuova Alleanza si realizza nel Sacro Graal  dove il  sangue di Cristo viene offerto per la salvezza degli uomini.

Ma il sangue è in stretta relazione col corpo perché è la sostanza che lo fa vivere. Va allora  richiamato il passo di Giovanni (2, 18):  “.. e ai venditori di colombe disse: portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato. I discepoli si ricordarono che sta scritto. Lo zelo per la tua casa mi divora. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Rispose loro Gesù: “Distruggerete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù”. Queste parole del Redentore  ricongiungono l’uomo  al  Tempio di Dio; infatti il corpo di Gesù è il Tempio vivente di Dio. Il cristiano diviene col battesimo Figlio di Dio  e quindi Tempio di Dio. Allorché il cristiano  riceve la Santa Eucarestia, cioè il corpo di Gesù, consente a Gesù, cioè il Tempio di Dio, di dimorare nel suo  corpo, per la cui ragione egli stesso diviene pure Tempio di Dio e  si spoglia dell’uomo vecchio per rivestire l’uomo nuovo. Allora  quando il cristiano riceve la “Cresima”, che significa “testimonianza”, egli si impegna a testimoniare a tutti che la sua persona è  veramente Tempio di Dio, per averlo ricevuto nel battesimo ed accolto con l’Eucarestia.

Ma il richiamo al Sacro Calice si anche ha quando Gesù a Getsemani dice: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio,  ma ciò che vuoi tu” (Mc, 14, 36).

La Santa Chiesa ci insegna a comprendere nella loro profondità questi principi fondamentali della nostra religione che essa sintetizza nella stupenda, profonda e veritiera litania: “Ci hai redenti, o Signore, con il tuo Sangue e ci hai resi degni del regno di Dio”. Ritrovando il Sacro Graal, il calice dell’Alleanza fondata sul sangue divino, il cristiano  ritrova ancora Dio nella sua compiutezza, così come ritrova tutto il Divino, cioè il tabernacolo ed il tempio antico, la Gerusalemme Celeste.  Allora il Sacro Graal, essendo lo spazio benedetto in cui nell’Ultima Cena il vero Dio, Uno-Trino, ha  trasformato il vino nel sangue vivo del Redentore e dove  è avvenuto il preludio dello spargimento del sangue di Gesù per tutti gli uomini, prima ancora che nella passione e nella crocifissione, rappresenta per tutti gli uomini il simbolo della salvezza eterna, il ricongiungimento con l’amore divino, la trasformazione dell’uomo vecchio in uomo nuovo, vera immagine del Tempio di Dio.

Certi autori sostengano che la Santa Chiesa abbia sempre guardato con molto sospetto il Graal, in quanto, per costoro, questo simbolo rappresentava un modo per giungere in modo diretto  a Dio senza passare attraverso la Chiesa di Pietro, cioè senza passare attraverso i diretti insegnamenti degli eredi degli Apostoli. Questa asserzione è da respingere con determinazione, perché istituendo la Santa Messa ed ubbidendo alle parole di Gesù, la Santa Chiesa ripete, celebra il memoriale dell’Ultima Cena e ne esalta il suo momento centrale, allorché l’offerta del pane e del vino,  per opera dello Spirito Santo, si trasformano nel vero corpo e vero sangue del Salvatore. Comprendendone poi il significato profondo e la valenza spirituale che questo immenso sacrificio racchiude, la Santa Chiesa, con dolcezza, umiltà e santità, lo ha portato alla conoscenza di tutti gli uomini della Terra, perché essi potessero mangiare il  cibo della vita eterna. Ma c’è di più, giacché    ha imposto l’obbligo ai fedeli di comunicarsi e ricevere la santa comunione, almeno una volta all’anno. Allora possiamo anche dire che idealmente il Sacro Graal è presente  ancora  oggi nei singoli calici usati nel sacrificio della S. Messa a ricordarci ogni giorno l’Ultima Cena e quel grandioso evento per l’uomo che si è generato al suo interno; opera  profondamente misteriosa, pur tuttavia  comprensibile con la forza  della fede, con  la purezza interiore e con la bontà del cuore.

 

La nostra definizione del Sacro Calice (da noi denominato “Il Calice del Figlio di Dio” o più semplicemente “Il Calice di Dio”)

Noi identifichiamo ciò che è chiamato il Sacro Graal o Sacro Calice, con la coppa dell’Ultima Cena, cioè il “Calice della Salvezza”. La  Tradizione Primordiale ci riporta ad Adamo, al Paradiso, ai momenti felici in cui l’uomo era in comunanza diretta con Dio, ma dopo il peccato originale questo equilibrio si è rotto è l’uomo ha conosciuto la malattia, la sofferenza, la povertà, l’ingiustizia, la morte fisica. Secondo la leggenda  per guarire Adamo, Seth, il terzo figlio di Adamo ed Eva, si recò in Paradiso per recuperare il Graal  in un’impresa che durò ben 40 anni. Premesso che fra le diverse traduzioni di Graal vi è quella di "cosa che raccogli e contiene",  il Sacro Graal, definito dagli studiosi anche come "Coppa del Sapere",  sarebbe in realtà una coppa o un contenitore, forse un'urna, che  raccolse il sangue di Gesù Cristo. Non è però accettabile la sua trasformazione nei termini francesi (lingua della cavalleria) di  Sang Real (Sangue Reale) da cui San (santo) e G-Real: il sangue di Cristo, anche se  Gesù effettivamente era di sangue reale, in quanto discendente dalla stirpe di re Davide. Ciò perché  graal è una parola francese che appartiene alla lingua d’oil (nominativo: graaus) e che deriva dal latino gradalis (che in epoca postclassica designava un piatto, una scodella). Real, inoltre sembra un vocabolo più spagnolo, o al massimo italiano, ma non certo della lingua d’oil, nel qual caso  dovrebbe suonare più simile al francese royal. Infine il Graal non è  mai stato definito “santo” né da Chretien de Troyes, né da Wolfram von Eschenbach, né da Roberto de Boron.

Prima ancora del  sangue di Gesù sparso sulla croce, quello ottenuto nel Sacro Calice dalla  transustanziazione del vino, è destinato a riscattare l’uomo dal peccato ed a ridonargli la speranza della vita eterna. Il Vero Graal,  se inteso come  la coppa in cui Gesù bevve nell’Ultima Cena, è soprattutto l’espressione di un rapporto di crescita  dell’uomo ed il suo ricongiungimento col Divino. Esso rappresenta anche la prova della conoscenza di un grande mistero: la trasformazione del sangue dell’uomo Gesù nel sangue dell’Agnello senza macchia, immolato per tutti, in  pagamento, con la morte di croce, del riscatto dal peccato degli uomini. Esso diviene, allora anche il simbolo del viatico  che consente di raggiungere la vita eterna, quella “senza fine”, una vita intima con Dio, segnata dalla felicità, gioia, gloria e santità, tutte eterne ed indistruttibili. Si tratta in sostanza della seconda vita, nella quale gli eletti saranno pieni di ogni sorta di benedizione, possedendo Dio in maniera perfetta e quindi capaci di vedere Dio non più soltanto con la forza della Fede, ma realmente con una visione intuitiva, vale a dire “faccia a faccia”, mentre l’Essenza Divina si manifesterà loro immediatamente, in modo chiaro ed aperto. L’uomo Gesù, figlio del Dio Padre, è  l’uomo perfetto che riesce ad avere considerazione e forza per abbattere quel muro che divideva l’uomo da Dio. Così Gesù, vero Dio e vero uomo,  infrange questo muro ed abbattendolo ridona la luce e la salvezza agli uomini caduti nell’oblio e nel peccato. Solo comprendendo questi  concetti  è possibile intendere compiutamente la valenza spirituale del Vero Graal, che rappresenta perciò un indirizzo verso la luce eterna e la conoscenza di Dio. Nulla di pagano o di arcano vi è nel Vero Graal, ma solo ciò che di più bello e fondamentale può ritrovarsi nella dottrina cristiana, tutta volta a riscattare l’uomo e portarlo verso la Luce e la Nuova Gerusalemme. Il Vero Graal è dunque un manufatto in cui Gesù ha bevuto il vino che ha trasformato nel suo sangue e lo ha offerto agli Apostoli, cioè esteso idealmente a tutti gli uomini, per unirli e riscattarli con un patto di salvezza eterna, fondato sulla Sua Parola. Allora il Sacro Calice diviene davvero il simbolo del recupero della purezza perduta ed il ritorno al Paradiso Edenico. Gesù nell’Ultima Cena ha detto: “questo è il Calice del mio sangue”. Al riguardo si ricorda che nel monastero di San Juan de la Pena erano conservati diversi manufatti e in  un documento, datato 14 dicembre 1134, è scritto che  fra questi diversi manufatti, vi è anche  el Caliz en que Cristo consacrò su Sangre”, vale a dire “il Calice in cui Cristo consacrò il suo Sangue”.

Nel Calice dell’Ultima Cena è avvenuta la trasformazione del vino, simbolo biblico dell’amore, nel vero sangue di Gesù   per il riscatto di tutti i peccati degli uomini. Così questo calice è divenuto il contenitore del pegno della salvezza degli uomini, del mistico lavacro delle nostre anime e nel contempo il Patto della Nuova ed Eterna Alleanza, fondato sulla Parola di Gesù. E’, infatti, dalle potenti parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena che conosciamo in cosa consiste questa nuova Alleanza: “chi beve di questo sangue avrà la vita eterna”, vale a dire chi consumerà la bevanda di salvezza, potrà aspirare alla seconda vita, alla Nuova  Creazione, alla Gerusalemme Celeste.

 

Il sangue dell’Uomo-Dio

Che cosa rappresenta per i cristiani il sangue dell’Uomo-Dio? In ogni tempo e in quasi tutte le religioni del passato il sangue ha rappresentato il simbolo della vita, la realtà carnale dell’uomo, il principio stesso della vita. Come abbiamo già ricordato, lo spargimento del sangue di Gesù rappresenta il tributo, il pagamento, la moneta contante pagata da Gesù per ottenere da Dio la pace e la riconciliazione per gli uomini e riscattarli dalla colpa di Adamo. Con l’avvento di Gesù si forma fra Dio e gli uomini un Patto di Sangue che porterà a dare la vita del suo unico Figlio per riscattare dal peccato l’umanità presente e futura e reinserire il Suo popolo nel Suo infinito Amore. Per noi il Sacro Calice o  Sacro Graal, cioè il Vero Graal, è dunque il Calice del Sangue di Dio, o più semplicemente il Calice di Dio. Seguendo gli insegnamenti presenti negli antichi testi di esegesi liturgica, a partire da Alcuino ed Amalario di Mertz fino ad Onorio di Autun,  uno dei più prolifici e influenti scrittori del Medioevo europeo, vissuto nel XII secolo, la Chiesa ha collegato il calice al sepolcro di Cristo. Onorio di Autun ne fornisce l’espressione più competa nel suo testo Gemma animae: “Il calice rappresenta il sepolcro, la patena la pietra che chiudeva il sepolcro, il corporale ricopre il calice perché rappresenta la sindone candida in cui Giuseppe d’Arimatea avvolse il corpo di Cristo[2]. Noi rifiutiamo di concepire il Calice come Sepolcro di Cristo, perché  Gesù  ha definito il Calice con queste parole:“Questo è il calice della Salvezza”, frase che  non esprime la morte, ma l’esaltazione della  vita.  Infatti:

1) “La salvezza” richiama la resurrezione e dunque la vita e non la morte;

2) Il banchetto dell’Ultima Cena rappresenta un rito conviviale tipicamente giudaico, ma nel celebrarlo Gesù non si è limitato alle usuali formule di benedizione perché  se è vero che ha conferito al pane e al vino una relazione con il suo corpo immolato e con il suo sangue versato, è altrettanto vero che Egli ha stabilito un legame con il futuro banchetto degli eletti nel Regno di Dio, ove si realizzerà l’unione perfetta tra Dio e l’uomo. Dunque questo banchetto richiama la gioia della seconda vita, quella eterna;

3) La celebrazione eucaristica è un elemento di continuità, una tradizione viva che si rinnova continuamente, dunque un’espressione di vita che si rinnova;

4)  L’Eucaristia è fonte di vita per la Chiesa.

 

La nostra definizione del Sacro Graal inteso come “Il Calice di Dio

Poiché la vita è espressione dell’amore, nella nostra definizione del Sacro Calice, desideriamo collegare questa Santa Reliquia  all’amore di Dio, senza il quale non esiste né vita fisica né vita spirituale.

Ed allora è così che definiamo il Calice di Dio:un manufatto a forma di coppa o calice, che racchiude al suo interno un piccolo spazio benedetto, fisico ed idealmente cosmico in continuità, in cui l’Amore salvifico e misericordioso di Gesù si incontra e si congiunge con l’Amore filiale di Dio Padre Onnipotente e con quello  virtuoso ed ardente di Dio Spirito Santo Paraclito, per fondersi insieme in un solo, gioioso, grandioso e sublime Atto di Amore Divino, capace, con la potenza divina di misericordia del Dio Unitario e Trino che lo caratterizza, di trasformare quel vino presente nel calice in Vero Sangue  del Redentore, divino e preziosissimo,  offerto in sacrificio per la remissione di tutti i peccati, e in un’autentica bevanda di vita eterna, donata per grazia, gratuitamente e con amore,  a tutti gli uomini da Gesù, mediatore dell’Alleanza,  per la loro redenzione e salvezza”.

 

S. Stefano di Magra lì, 15 agosto 2015 (Assunzione di Maria in cielo).

Prof. Dr. Luigi Battistini,  Messaggero di pace” della Confraternita dei Cavalieri Templari Cristiani Jacques de Molay.

 



[1] Antonio Lombatti, Il Graal e la Sindone, Mondatori, MI, 1998, p. 10
[2] http://mikeplato.myblog.it/tradizione-templare

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